LA BANDA GROSSI

BANDE E BRIGANTI*

 

Con decreto ufficiale del 30 novembre 1860, le Marche entrarono a far parte del Regno d’Italia, con conseguente estensione a tutto il territorio della legge piemontese. Tra le nuove leggi, quelle legate al nuovo sistema fiscale e alla leva militare obbligatoria, furono quelle che colpirono di più i cittadini; infatti la leva obbligatoria (cinque anni e sette per la cavalleria) sottraendo forze giovanili all’agricoltura, aumentava le condizioni di povertà delle famiglie contadine.

La renitenza alla leva interessò gran parte dei giovani, ed ebbe anche il sostegno del clero locale antiliberale, che in mancanza di ancora di un anagrafe ufficiale era l’unico depositario dei libri di battesimo che nascondeva o falsificava i dati. Il processo di piemontizzazione fu una della cause che alimentarono il banditismo locale, anche se esso esisteva già prima del fenomeno unitario.

Il periodo risorgimentale, però aveva suscitato aspettative civili e di riscatto per un’intera elite di cittadini, riacutizzando così fenomeni di ribellione, delinquenza e vendetta.

 

Il nostro territorio, di Pesaro e Urbino, fu interessato prima dalla Banda Grossi e poi dal bandito Cola (detto Fabrizi).  Questi fu ucciso a tradimento dal suo fedele compagno Pio Nazzareno Guerrini (detto Nicola di Osimo) e venne sepolto nel 1856 a Piano della Valle nei pressi di Gallo. Il Fabrizi, che non costituì mai una vera e propria banda, operò per oltre un ventennio nelle zone del Montefeltro con azioni banditesche legate sia al contrabbando di polvere sulfurea tra il Montefeltro e San Marino, sia all’assalto di mercanti e viandanti lungo la strada Flaminia e la strada Urbinate. Luoghi centrali della banda erano: Torre (oggi Torre San Marco), Isola di Fano e Gallo.

 

La  Banda Grossi assunse grande rilievo a cavallo dell’Unità di Italia mobilitando numerosi soldati nella zona di Gallo. Il capobanda (Terenzio Grossi), nato il 25 settembre 1832 a Case Nuove di Urbania, nel 1850 risultava residente a Gallo praticante il mestiere di bracciante. Il verbale di un processo del 1854 lo descrive in questo modo: “un giovine di alta statura, corporatura snella della età apparente di 22 anni circa, con capelli neri, ciglia, occhi e poca barba unita simili, naso regolare, bocca media, carnagione olivastra, e vajolato in viso, con capello di lana negro, vestito nel rimanente con panni della fornitura carceraria”.

Iniziò le sue attività di bandito con una serie di furti campestri, abigeati, rapine, evasioni dai carceri di Sant’angelo in Vado e San Leo, lasciando numerose tracce nei fascicoli processuali. A differenza del banditismo del Cola, che agì spesso da solo, quello del Grossi può essere inserito sotto la categoria del banditismo sociale: il Grossi agiva appoggiandosi alla collaborazione dei contadini contro l’autorità costituita, combattendo le truppe del papato, sparando contro gli stemmi sabaudi, occupando paesi e contrastando carabinieri.

“La sera dell’8 gennaio 1861 un gruppetto di finanzieri e di guardie di pubblica sicurezza stazionava nel paese di Gallo, luogo di residenza di Terenzio Grossi. I finanzieri s’erano separati dalle guardie e bevevano in un’osteria, senza le armi a portata di mano. Quando all’improvviso quel Grossi che forse non cercavano, ma al quale avrebbero voluto con la loro presenza impedire di razziare nella zona, irruppe armato in compagnia del fratello Marco nel locale. Uno che tentò di reagire lo ferirono, gli altri vennero minacciati e consigliati di andarsene dal paese dove i Grossi vivevano, a dir loro, da galantuomini. La cosa finì in una bevuta generale, senza spari né sangue. In quei tempi l’uso di bere assieme garantiva, fra estranei, la bontà delle reciproche intenzioni; fra nemici costituiva un temporaneo e limitato trattato di pace, come accadeva infatti quella sera, per l’ultima volta tra Grossi e gli uomini dello Stato”. (Monsagrati M., Uguccioni R. P., Vera storia della banda Grossi, Pesaro 1983).

Come abbiamo detto, dopo l’unificazione (avvenuta con regio decreto del 1860), l’introduzione della leva obbligatorio e l’esazione delle tasse, suscitarono tra la popolazione un notevole malcontento, provocando ribellioni diffuse, di cui il Grossi si fece in qualche modo interprete. La banda aveva scelto come luogo di incontro una osteria a Buca Ferrara, e a seguito del malcontento popolare, attorno al Grossi si unirono altri personaggi come ad esempio Luigi e Sante Fiorentini, Antonio e Olinto Venturi (Zinzini) di Isola di Fano, Marco Grossi (fratello più giovane di Terenzio), e Biagio Olmeda di Gallo, Enrico Amantini di San Lorenzo, Giovanni Battelli (Pietraccio) e Luigi Trebbi (Cacabasso) di Montefabbri, Pietro Pandolfi di San Costanzo, Gaetano Gerboni di Colbordolo, , Gaetano Rotatori di Modolfo, Baldassare Maccagli di Mercatino Conca, Giuseppe Alunni di Scapezzano, Pajno e il Bastardo di Senigallia.

Il fratello di minore di Terenzio, Marco Grossi, dopo uno scontro con i carabinieri nei pressi di Isola di Fano, il 4 marzo 1861 si costituisce al Sindaco di Petriano.

Un altro duro colpo alla banda Grossi fu inferto dalla resa di Baldassare Maccagli, perché costui riferì i nomi dei componenti, i luoghi di incontro e di rifugio e le persone che li nascondevano. Le autorità cercarono di accerchiare la banda Grossi fermando ed interrogando tutte le persone che avevano avuto contatto con il Grossi. Le testimoniane raccolte portarono all’arresto del cavatore di pietre di Gallo, Luigi Stafoggia, accusato di associazione a delinquere e connivenza con la banda Grossi. Costui, durante il processo in tribunale denunciò i propri compagni: “i suddetti quattro o cinque (Terenzio Grossi, Gaetano Gerboni, Luigi Trebbi, Giovanni Battelli, e Sante Frontini) li conosco bene per averli più volte veduti: al Gallo si presentavano sempre armati di doppietta e pistole, s’intrattenevano a mangiare e bere all’osteria della sorella del Grossi, moglie di Biagi Andrea…”.

La rete intorno al Grossi si stringeva progressivamente, e ad un certo punto gli si fece capire che gli sarebbe stato concesso un aiuto se si fosse allontanato dalla zona e avesse denunciato i compagni. L’offerta fu rifiutata dal Grossi, ed iniziarono cosi una serie di vendette: all’Osteria di Buca Ferrara fu ucciso Biagio Olmeda, in circostanza non del tutto chiare; durante telo omicidio il Grossi fu ferito gravemente ad  una mano ed iniziò a vagare da un casolare all’altro, insieme al compagno Frontini, in cerca di protezione. I carabinieri erano sulle sue tracce e oramai gli erano vicini.

Il Grossi ad un certo punto volle ritornare al Gallo, ma lungo il sentiero verso Caspessa nei pressi di Isola di Fano, il fedele compagno (fino a quel momento) Frontini lo colpì alla testa con due colpi di pistola. Questi sperava di rimanere impunito grazie a questo tradimento; in realtà fu l’unico condannato a morte durante il processo che si svolse contro di lui e contro gli altri componenti della banda. La scheda personale, risultante dagli atti del processo recita: “Frontini Sante di Domenico soprannominato Pipetta (nella Valle del Foglia), d’anni 25, scapolo, calzolaio, nato e domiciliato a Isola di Fano/mandamento di Fossombrone/nulla tenente analfabeta arrestato il 1 ottobre 1862”. Frontini venne ghigliottinato fuori Porta Sale a Pesaro il 25 ottobre del 1864.

 

Terminarono così le vicende di una Banda che durante gli anni della sua vita ( dal 10 giugno 1860 al 15 settembre 1862), caratterizzò per anni la frazione di Gallo.

Secondo i documenti dell’epoca, la Banda Grossi commise: 78 grassazioni (furti a mano armata) 5 assassini, 12 omicidi, 23 ferimenti, 2 stupri violenti, 8 estorsioni, 6 mancate grassazioni.

Del resto, in un territorio come quello di Gallo e della vicina Montefabbri, con una ingente popolazione di braccianti, era piuttosto diffusa la delinquenza ed erano da considerarsi frequenti casi di furti o rapine, come la rapina avvenuta nella notte tra il 27 e 28 agosto del 1863 in località di Calabalia dove diversi briganti (si sospettò del Gallo) rapinarono ben 25 viandanti con un bottino complessivo di ben 958,52 lire.

Non è un caso che i carabinieri fino al 1898 avessero una caserma a Cappone e solo dopo la sostassero a Colbordolo, quando le scorribande brigantesche erano orami terminate.

 

*Testo liberamente tratto da:

Falciasecca G., Un castello, una villa, un’osteria. Petriano, Riceci e Gallo, Petriano, 2003;

 

 

 

Bibliografia minima:

 

Dellagenga F., Storia della banda Grossi e dei suoi delitti commessi all’alba dell’unità nazionale nella provincia di Pesaro-Urbino, Fano, 1907.

Falciasecca G., Un castello, una villa, un’osteria. Petriano, Riceci e Gallo, Petriano, 2003;

Monsagrati M., Uguccioni R. P., Vera storia della banda Grossi, Pesaro 1983.

Moretti L., Colbordolo, agricoltura e società rurale nel XIX secolo, Rimini, 1997.

Passeri D., Tomassini L., Petriano. Storia di un millennio, Pietroneno Capitani Editore, Rimini, 2001.

Uguccioni R.P., Comuni feretrani tra Otto e Novecento, in Il montefeltro, ambiente, storia, arte nelle alte valli del Foglia e del Conca, vol. 1, Villa Verucchio, 1995.

Uguccioni R.P., Sulle tracce di A. Cola discolo e famoso ladrone, in “Città e Contà”, n. 1, 1991.

 

 

 Ricerca/elaborazione
Samuele Bernardi

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